Si fa presto a dire la rinascita del turismo. A due anni esatti dal terremoto, chi è venuto in vacanza all’Aquila e nei dintorni? Pochi, pochissimi. I dati sono eloquenti: se nel 2009, l’anno del disastro, si è ovviamente registrato un meno 21,2% negli arrivi degli italiani, e un meno 45,3% per gli stranieri (dati Centro studi Tci). Il 2010 è andato ancor peggio, con un calo del 2,96% delle presenze rispetto all’anno precedente. Mentre il resto delle provincie dopo il meno 17% del 2009, quest’anno hanno fatto registrare una crescita media del 10% sull’anno precedente (dati Aptr Abruzzo).

Del resto all’Aquila da un anno tutto è praticamente fermo. Fatti salvi i simboli del capoluogo, la fontana delle 99 cannelle – che aveva subito danni minimi - ha ripreso a zampillare e la basilica di Collemaggio, pur incerottata e senza più la cupola, è stata riaperta in tempo per la messa di Natale, il resto dei tesori artistici dell’Aquila è ancora com’era dodici mesi fa: chiuso e inaccessibile. “I lavori di messa in sicurezza sono stati per lo più fatti. Ma altrove tutto è ancora com’era”, racconta Manuela , guida turistica aquilana. Nei piccoli centri storici qualcosa poteva essere fatto, invece la ricostruzione è totalmente ferma.

“Se almeno si fossero realizzati alcuni interventi simbolici questi potevano diventare un volano e un’occasione concreta per attirare persone, per far parlare della zona non per forza nei giorni dell’anniversario e basta”, si rincresce Pietro Baldi, presidente del consorzio di promozione turistica del Gran Sasso. Invece a Santo Stefano di Sessanio la torre medievale crollata oltre che per la forza del terremoto per l’assurdità di un restauro incauto è ancora un cumulo di macerie. “Eppure poteva diventare un simbolo concreto di rinascita”. Un simbolo e uno stimolo che sarebbe servito anche a rinfrancare e dar fiducia agli operatori del settore.

“All’inizio tra di noi c’è stato un forte slancio e una grandissima voglia di fare, per non farci abbattere da quel che era successo e non rimanere schiacciati. Adesso la voglia c’è ancora, però se intorno a te vedi che le cose non si muovono, che non ci sono progressi, che le cose non migliorano queste energie finiscono per andare sprecate”, aggiunge Baldi. “Stiamo allo stesso punto dove eravamo dodici mesi fa”, si rammarica Mara Quaianni, albergatrice e presidentessa della Federlberghi aquilana. “In meno abbiamo la speranza, in più lo scoraggiamento”. Il suo albergo, l’Amiternum, era stato uno dei primi a riaprire, giusto in tempo per il G8. “Avevamo ospitato parte della delegazione aquilana, poi gli sfollati”. Ora gli sfollati sono rimasti una quindicina, il resto sono clienti legati al post terremoto. Non sono clienti veri. E infatti il venerdì e il sabato tutto si svuota”, aggiunge.

Certamente la situazione è ancora difficile, all’Aquila. Ci sono altre priorità che pensare al turismo. Ma qualcosa andrebbe fatto per dare un segno, sia all’interno che all’esterno. “Cosa possiamo fare in concreto? Siamo impotenti davanti a questa situazione di stallo”, lamenta Quaianni. “Non possiamo mica metterci noi a risistemare le cose. Alcuni monumenti erano stati adottati dai grandi: ma quanti hanno mantenuto le promesse?”. Pochi, in effetti. Se la Germania ha speso 3,5 milioni di euro per ricostruire Onna, altri paesi – come la Spagna che avrebbe dovuto sistemare il castello – hanno dimenticato l’impegno. Dei monumenti aquilani solo la chiesa della Anime Sante (finanziata dalla Francia) e il palazzi presi in carica dal Kazhakistan e dalla Russia hanno visto dei lavori che andassero oltre la messa in sicurezza.

Il resto aspetta che si decida cosa fare e come farlo, tra rimandi, intoppi e soldi che mancano. E al momento sembra manchi anche una politica regionale per la rinascita del settore turistico, o almeno manca per L’Aquila e per l’aquilano. “C’è un progetto concreto per spostate parre del museo nazionale che era al Castello all’ex-mattatoio, facendo un polo multifunzionale che0 potrebbe essere utile anche per la cittadinanza”, racconta Stefano Filauro. Ma pare che manchino le firme definitive del ministero competente. Così ai singoli non resta che industriarsi. Il mese scorso l’Archeoclub cittadino ha ripreso le attività e per l’estate dovrebbero riaprire anche le grotte di Stiffe, uno dei punti salienti dell'offerta sul territorio.

Nel loro piccolo, raggruppano 34 operatori della zona del Gran Sasso tra Barisciano e Castel del Monte, quelli del Consorzio ce la stanno davvero mettendo tutta per provare a riportare la gente nell’Aquilano. “Autonomamente siamo andati a fiere in Italia e all’estero, abbiamo fatto cose che non avevamo mai fatto e qualche risultato lo abbiamo anche avuto: il 2010 per noi ha fatto registrare un incremento delle presenze”, prosegue Balbi. “E ci stiamo muovendo per organizzare eventi che l’attenzione sulla zona, attenzione che invece si è un po’smorzata”. Ma servirebbe un’azione maggiormente sinergica, magari con la Regione a tessere le fila di un discorso collettivo che prospetti un nuovo futuro turistico per l’Abruzzo e per le zone interne. “Magari puntando maggiormente sulle nostre specificità: puntando per esempio a promuovere lo sci fuoripista sui mercati esteri invece che puntare sul semplice sci da discesa. Che è abbastanza difficile convincere un tedesco a venir a sciare qui invece che sullo Dolomiti, ma se invece viene a fare escursionismo rimane colpito”, aggiunge Balbi. Qualcosa in questo senso è stato fatto. “Quest’estate con l’Ente parco del Gran Sasso e il contributo della Caritas abbiamo rinnovato la segnaletica escursionistica lungo cento chilometri di percorsi del versante aquilano”, prosegue Balbi.

E qualcosa sta facendo anche il Touring Club Italiano, che si è fatto promotore del progetto VivAbruzzo. Riprendendo il modello dei comuni Bandiera Arancione, il progetto ha come obiettivo la valorizzazione dei piccoli centri storici dell’entroterra abruzzese colpiti dal terremoto. Valorizzazione che avviene attraverso un piano di miglioramento che mira a instradare i vari Comuni verso un turismo di qualità che sia attento al territorio e stimoli l’imprenditorialità. Ma tutti questi sforzi rischiano di essere vani se prima non si decide che futuro avrà L’Aquila. Perché se la ricostruzione, quella durevole e con un’idea alla base, non parte, l’unico futuro turistico di questa città è quello di diventare una moderna Pompei.