Probabilmente in Italia non s'è mai parlato tanto di Manaus come in questi giorni. La città dove la Nazionale inaugurerà il suo Mondiale nella notte tra sabato e domenica è sulla bocca di tutti i tifosi, pronti a sventolare i Tricolori e a esultare alle prodezze di Balo. Ma pochi si rendono conto che Manaus è completamente diversa da tutte le altre metropoli brasiliane. E che conserva un incredibile pezzetto di Italia.
 
In primo luogo, guardate la mappa sopra: Manaus è nel bel mezzo della foresta amazzonica. Lontana da qualsiasi altra città delle stesse dimensioni, persa in un mondo tutto suo – quello degli allagamenti regolari del Rio delle Amazzoni, delle barche che solcano lentamente i grandi affluenti del fiume, della foresta che non lascia scampo: non appena ci si distrae un attimo, si riprende tutto. Quando si arriva in aereo, dal finestrino si vedono foresta fiumi foresta fiumi foresta per chilometri e chilometri, le case arrivano solo all'ultimo, sembrano comparire dal nulla. Eppure, Manaus conta oggi quasi due milioni di abitanti: non proprio un villaggio.
 
Tutti arrivano in aereo o via fiume, a Manaus, praticamente nessuno via strada, sarebbe troppo lungo, troppo complicato. Al porto è un continuo andirivieni di barche e barchette che sembrano uscite dai fumetti Disney e che portano decine di strani pesci d'acqua dolce, prontamente venduti sotto le incandescenti lampadine del mercato. Attorno, qualche retaggio dell'epoca coloniale, quando Manaus era una capitale del bel mondo. Perché, ed è questa la cosa più straordinaria, ci fu un'epoca in cui Manaus fu al centro dell'attenzione. E non solo del Sudamerica.
 
Non sono passati poi neanche tanti anni: si parla di fine Ottocento, quando il commercio della gomma (derivata dal caucciù) fece crescere speranze, capitali, velleità, fece arricchire alcuni e impazzire altri, come ben racconta il mitico film Fitzcarraldo. Nel 1881 qualcuno propose di costruire a Manaus un teatro che potesse rivaleggiare con quelli europei: e il progetto, incredibilmente, con gli anni andò in porto. Così il turista che oggi sbarca in mezzo all'Amazzonia trova piante esotiche, strepitosi succhi tropicali e qualche insetto di troppo, ma anche il teatro Amazonas.
 
Entrare nel teatro è quantomeno surreale. Per vari motivi. Il pensiero corre subito a quando fu inaugurato con la Gioconda di Ponchielli, nel gennaio 1897: ce li immaginiamo, 700 nobili dell'epoca, andare a teatro nel pieno dell'estate brasiliana. Ma soprattutto pare pazzesco che i materiali per costruirlo – come spiega un'abile guida – fossero arrivati dall'Europa, chissà con quali peripezie: marmo di Carrara per le scale, vetri di Murano per i lampadari, arredi dalla Francia. Persino il grande sipario, che ritrae l'incontro tra il rio Blanco e il rio Negro, fu dipinto a Parigi.
 
Ma il particolare più stupefacente del teatro Amazonas è costituito, secondo noi, dai dipinti di Domenico de Angelis, che lasciò le sue tracce sulle pareti del Salão Nobre, un grande foyer adiacente al teatro in cui si entra rigorosamente con le babbucce per non rovinare il parquet. Al de Angelis, attivo soprattutto a Roma, fu commissionata una “Glorificazione delle Belle Arti in Amazzonia", con esuberanti muse che scendono dal monte Elicona in direzione della foresta tropicale. Ma evidentemente il povero pittore italiano non aveva idea di come fosse fatta una foresta tropicale, né tantomeno da quali animali fosse abitata: fatto sta che a chi entra nel Salone nobile sembra di riconoscere nelle pitture alle pareti scoiattoli, aironi e paesaggi di Tevere o Ticino.
 
Insomma, a Manaus passò un sogno che parlava (anche) italiano. Potrebbe iniziarne un altro?