Per esistere esistono quasi tutte, anche se in realtà non le riconosce nessuno e dunque per la diplomazia internazionale non hanno alcuno status giuridico. Sono le Micronazioni raccontate da Graziano Graziani, giornalista e voce di Fahrenheit di Radio 3, nel suo Atlante delle micronazioni, pubblicato da Quodlibet.

Mercoledì 2 dicembre dalle 18 Graziani sarà l’ultimo protagonista del ciclo Compagni di viaggio, gli incontri con gli autori di libri dedicati al viaggio organizzati dal Touring Club Italiano nel Punto Touring di Corso Italia 10, a Milano.

L’abbiamo intervistato per farci raccontare come e perché gli è venuta l’idea di compilare questo Atlante di Paesi che non lo sono ma vorrebbero esserlo: luoghi a metà strada tra la fantasia e la rivendicazione politica.

Come è nata la passione per le micronazioni?
Dovevo scrivere un articolo sui diritti digitali e facendo le ricerche su The Pirate bay, una piattaforma di condivisione svedese, scopro che per aggirare la legge sul copyright volevano spostare i server su Sealand, piccolo principato al largo delle coste inglesi del mare del Nord. Avevo sentito parlare delle isole del Canale, non di Sealand. Era fuori dall’ordinario: una piattaforma costruita dall’esercito britannico durante la Seconda guerra mondiale e trasformata nel 1967 in una vera e propria nazione, all’inizio per aggirare le leggi nazionali sull’emittenza radiofonica. Erano storie da raccontare.
Che cosa è una micronazione?
Non esiste una regola, perché ognuno fa come gli pare, ma ci sono degli elementi costitutivi che sono messi in campo soprattutto da chi cerca di fare una tassonomia. Così, per esempio, la differenza che passa tra Christiania a Copenhagen e un’altra comunità hippie è la volontà di amministrare per sé il proprio territorio. Ovvero concepire un poco se stessi come un altrove. Forse basta questo: un dentro/fuori in opposizione con un altro. Poi, certo, ci sono gli altri elementi classici dello Stato Nazione ottocentesco: la bandiera, la moneta, alle volte il francobollo e il passaporto. Cose che non servono a nulla perché non riconosciute da nessuno, ma danno identità e costruiscono una storia.
Perché uno decide di proclamare una micronazione?
Di fondo c’è una voglia di indipendenza che è sempre presente nell’uomo, solo che ognuno la declina come gli pare. Qualcuno lo fa nelle vacanze, staccandosi dal mondo in cui vive abitualmente; altri in maniera più radicale e fantasiosa, costruendo una micronazione per cercare di togliersi dalle regole imposte dalla società complessa in cui viviamo. Molti lo fanno per insofferenza alle limitazioni delle leggi che sono imposte dagli Stati, altri per tornare a una dimensione politica più viva e umana, perché in una micronazione come l’isola di Sark in Gran Bretagna con i suoi 300 abitanti il potere è davvero vicino. Come concetto si torna un poco alla Polis greca, anche se in realtà molte sono monarchie assolute, altre utopie libertarie, alcune sono di destra, altre di sinistra.
Oggi lo spazio giuridico per queste avventure si è però ridotto, vero?
Ci sono meno spazi di manovra giuridica, sono cambiate le regole sulle terre emerse e la giurisdizione degli Stati ha colmato praticamente tutti i vuoti. Ma spazi anche minini rimangono: ci sono alcune zone contese e altre non rivendicate da nessuno perché insignificanti. Questi, come il regno del Nord Sudan, sono territori dove ci si può insediare. Sono bolle, ma si possono sfruttare.
DOVE?
Punto Touring Milano, Corso Italia 10, ore 18 Telefono: 02.8526304; 02.852676; negozio.milano@touringclub.it