Le scosse sismiche che hanno colpito e stanno colpendo il Nepal in questi giorni portano con loro tragedia e devastazione. Oggi si parla di oltre 4000 morti e il bilancio è purtroppo destinato a crescere, in un Paese come il Nepal dove le strutture edilizie non sono certo tutte censite dal Governo (e spesso i villaggi sono in luoghi difficilmente accessibili, rendendo impossibile la stima dei danni). Ma c’è un aspetto di cui non tutti i media italiani si soffermano: il terremoto ha colpito anche l’identità di un popolo, le sue radici, il suo orgoglio, rappresentati dai suoi edifici simbolo.
La valle di Kathmandu è infatti costellata di edifici storici straordinari, di cui sette sono inclusi nei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco sin dal 1979 - uno dei primi anni in cui l’ente dell’Onu ha decretato i World Heritage Sites. Si contano almeno 130 monumenti, tra cui diversi siti di pellegrinaggio per induisti e buddisti: tale ricchezza è dovuta al fatto che nell’ampia pianura ai piedi dell’Himalaya si sono succedute nei secoli moltissime dinastie di regnanti, ciascuna delle quali ha lasciato traccia di sè sotto forma di palazzi, templi, fontane e altri edifici sacri. Il maggior periodo di splendore risale ai secoli dal IX al XII, che videro la supremazia dei Thakuri, e nel XIII secolo, quando si avvicendarono i Malla, ma le dinastie si succedettero fino al XVII secolo: tutta l'area era suddivisa in diverse città-stato costantemente in guerra fra loro, nonostante i regnanti fossero spesso legati da vincoli di parentela, che facevano quasi a gara a chi costruiva le strutture più belle. E' quindi all’epoca medievale che sono databili molti edifici sacri, rimasti intatti fino a pochi giorni fa.
I tanti splendidi palazzi di Kathmandu, Patan e Bhaktapur - queste ultime sono due cittadine ormai inglobate nell’agglomerato urbano della capitale - rivestono quindi un significato particolare per i nepalesi. Che infatti li visitano con ammirazione e venerazione, rispettandoli come se fossero una loro proprietà inalienabile. Fino a pochi giorni fa, era un piacere passeggiare tra gli elefanti e i leoni di pietra, i templi dai molteplici tetti di legno sovrapposti l'uno all'altro, i palazzi reali dalle tante finestre dorate: a Bhaktapur sembrava di essere stati catapultati in un villaggio medievale, popolato ancora da contadini e artigiani. Lontano dagli ostelli hippy della capitale, si veniva sorpresi rarefatta da un’atmosfera d’altri tempi. E valevano le parole dell’avventuriera Alexandra David Neel, che oltre un secolo fa scriveva: “C’è qualcosa di irreale negli edifici nei quali ci si trova. Ci si sente come comparse sul palcoscenico di un teatro, in mezzo alle quinte. Ci si aspetta di sentire un fischio e di vedere emergere gli operai che improvvisamente smonteranno questi palazzi e questi templi fantastici”. 
Già nel 1934 la valle di Kathmandu aveva subito un disastroso terremoto. Il Chyasilim Mandap, un tempio di Bhaktapur sorto nel XVIII secolo e distrutto dal sisma di allora, fu ricostruito grazie all’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl sulla base di una foto scattata nel 1866 da un fotografo francese: attendendosi a una sbiadita immagine, gli artigiani locali avevano rifatto l’edificio dei loro antenati. E questa volta con sistemi antisismici, il che aveva scatenato polemiche: il ferro utilizzato per consolidarlo era teoricamente proibito in un tempio. Ora, speriamo che l'edificio abbia retto alle nuove scosse. E che tutti gli altri, grazie a tecnologie più moderne di quelle degli anni Ottanta, possano essere presto ricostruiti dall'Unesco e dalla comunità mondiale. Per dare speranza a un popolo già duramente provato dalle tragedie della storia.