Doveva essere un libro di viaggio, uno di quelli ambientati sulla strada dove tre amici interagiscono e cambiano ritrovandosi nella dimensione feconda dell'andare. E invece Indice medio di felicità (Neri Pozza, pag. 174, 16,50 euro) dello scrittore portoghese David Machado, è diventato un romanzo quasi involontariamente dal taglio sociale che rende assai bene la situazione del Portogallo contemporaneo all'epoca della crisi economica. «La prima idea era quella di scrivere un libro in cui i personaggi si mettono in viaggio e in questo andare cambiano nei loro rapporti reciproci» spiega Machado, intervistato a Milano nel corso della consegna del premio Neri Pozza agli scrittori under 35. «Però mi sono reso conto che c'era molto da dire prima di quel viaggio e nel costruire l'antefatto del viaggio la storia e i personaggi hanno preso la mano e il viaggio è rimasto come parte finale, quelle che sbroglia la situazione e la fa cambiare» racconta Machado.
L'IMPORTANZA DEL VIAGGIO
Da sempre viaggiatore, Machado che ha vissuto in Italia per qualche mese per il suo Erasmus a Genova, è onesto nel confessare che un viaggio così rivelatore come quello che racconta nel suo ultimo romanza non l'ha mai fatto. «Il viaggio per me è un bisogno, una parte fondamentale della mia vita. E un buon modo, il migliore che conosco, per riuscire a vedere le cose in modo differente. Aiuta a liberarsi dai preconcetti e a riflettere, in effetti le decisioni fondamentali della mia vita le ho prese in viaggio» spiega. E in viaggio prende decisioni fondamentali per la sua vita anche Daniel, protagonista di Indice medio di felicità, un romanzo piacevole che ben oltre la volontà dell'autore è diventato un libro capace di raccontare una parte della vita nel Portogallo di oggi, martoriato da una crisi economica senza fine. «Mi serviva uno scenario per ambientare la mia storia in un qualunque luogo che stesse attraversando un periodo nero e il Portogallo contemporaneo è uno scenario che conosco bene, dunque è venuto naturale».
Una crisi che ha affossato un Paese e ha rovinato la vita delle persone. Il protagonista infatti si trova dal mattino alla sera senza lavoro e in piena crisi d'identità. «Analizzare la questione del lavoro nella società contemporanea per me era molto importante. Prima di scrivere il libro avevo visto un documentario, si chiama Not Working, un viaggio tra i disoccupati degli Stati Uniti, che mi ha molto colpito e mi ha portato a riflettere sulla condizione delle persone nel mondo d'oggi: che cosa siamo, come ci definiamo nei confronti degli altri e del mondo? Nel nostro mondo occidentale noi siamo soprattutto quello che facciamo. Non siamo padri, figli, amanti: siamo il nostro mestiere. E senza lavoro perdiamo una parte fondamentale di questa identità».
LE STATISTICHE SULLA FELICITA'
Un'identità che è strettamente connessa all'altro elemento su cui voleva riflettere Machado in questo romanzo: la felicità. «Mi ha sempre interessato questa riflessione sulla felicità. Da che mi ricordo sono una persona felice, nella mia vita non è successo nulla di grave perché io non debba considerarmi felice. Però mi sono chiesto: come posso io essere felice in un contesto di crisi, in cui tutti sono infelici? E allora, anche leggendo un po' sull'economia della felicità, è nata la domanda che guida tutto il volume: che cosa ci deve essere nella mia vita per essere felice?». Già, che cosa ci deve essere nella vita per essere felici? «Gli studiosi sono concordi nel dire che la felicità cresce solo fino a quando si hanno necessità basilari da soddisfare: una volta soddisfatte quelle, mantenere la felicità è un affare più difficile. Che però non dovrebbe avere nulla a che vedere con il denaro e il proprio lavoro ma piuttosto con la propria idea del mondo. Anche se oramai è passata un'idea diversa, almeno nella nostra società: sono felice se possiedo». E uno scrittore è una persona felice? «Scrivere mi porta felicità: mentre lo faccio in casa, con accanto i miei figli, mi sento felice. E poi grazie allo scrivere posso viaggiare e per esempio essere qui a parlare a Milano». Che a ben vedere può benissimo essere un'altra declinazione della felicità.