Da qualche giorno ai geografi tocca metter mano agli atlanti e aggiornare le cartine. Il 9 luglio a mezzanotte infatti il Sud Sudan è diventato ufficialmente una nazione indipendente. Il 54esimo stato africano è nato dopo cinquant’anni di conflitti tra l’esercito sudanese e i ribelli  del Sudan People’s Liberation Army. Tutto era iniziato quando era il 1956, Khartoum aveva ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna. All’inizio le popolazioni del sud furono marginalizzate ed escluse dal potere, dando vita alla prima guerra civile sudanese che ebbe una soluzione temporanea nel 1972, quando alle regioni del sud venne riconosciuta ampia autonomia nell’ambito dello stato sudanese. Autonomia revocata nel 1983, anno di inizio della seconda guerra civile. Da allora le tribù bianche, arabe e musulmane del nord si sono scontrate con quelle nere, cristiano-animiste del sud. Un conflitto costato due milioni di morti e almeno quattro milioni di sfollati. Una mattanza andata avanti  fino al cessate il fuoco imposto nel 2005 che ha garantito lo svolgimento del referendum per l’indipendenza, lo scorso gennaio. Referendum dall’esito scontato: il 99% degli abitanti del Sud Sudan ha votato a favore della libertà.

Otto milioni e mezzo di abitanti, ingenti risorse di petrolio, una capitale (Juba) tutta da inventare e statistiche macroeconomiche da primato della povertà rappresentano le credenziali con cui l’ultima nata tra le nazioni si presenta al mondo. Tutto lascia pensare che almeno per il momento, non sarà certo facile per il Sud Sudan stare al mondo. L’8 luglio, ancor prima di diventare formalmente indipendente, l’Onu ha votato l’invio nel Paese di una forza di sicurezza di 7mila militari e 900 poliziotti per vegliare sui contesi confini con il Sudan e mantenere l’ordine interno mentre lo stato centrale si organizza. Come se non bastasse l’Onu ha anche autorizzato l’invio di una missione di 4.200 soldati etiopi che si dovranno occupare di vigilare sulla pace con il territorio di Abyei. E i problemi politici non sono gli unici che dovrà affrontare il governo di Juba. Le statistiche sanitarie mettono il Sud Sudan all’ultimo posto al mondo per quasi tutti gli indicatori e con un medico ogni 500mila abitanti e tre sole sale operatorie, la salute è uno dei primi settori in cui il governo (largamente aiutato dalla cooperazione internazionale) dovrà operare.

Alla luce di questa situazione socio-politica, il Sud Sudan non diventerà molto presto una meta turistica frequentata. Anche se dal punto di vista naturalistico la parte meridionale del Paese ospita una diversità biologica impressionante. Secondo le ricerche effettuate dalla Wildlife Conservation Society americana in collaborazione con il governo sudanese, le savane al confine con il Kenya e la zona del parco nazionale di Boma sarebbero teatro delle più vaste migrazioni di mammiferi mai registrate. Un tesoro naturalistico che se ben gestito potrebbe dar vita a un movimento ecoturistico in grado di stimolare almeno in parte l’economia del Paese. Ma questi sono progetti futuri, per ora è ancora il momento di festeggiare.