Volpedo è un paese che conta un migliaio di abitanti in Piemonte, provincia di Alessandria. Non sarebbe certo passato alla storia, quantomeno alla storia dell’arte, se Giuseppe Pellizza (1868, nativo proprio di lì) non avesse deciso di ambientare, nella piazza davanti a Palazzo Malaspina, considerato il simbolo del potere signorile, l’opera più importante della sua carriera di pittore, Il quarto stato. Non è casuale che Pellizza abbia scelto proprio quel luogo per realizzare la sua pittura, interamente ottenuta in plain air: il quadro infatti rappresenta una marcia di lavoratori che avanzano compatti per rivendicare i propri diritti e vuole richiamare a un ruolo politico da protagonista anche chi appartiene a un rango sociale basso.

Il Museo del Novecento di Milano, in cui è collocato “Il Quarto Stato” (che dal 1920 è in città, comprato con una sottoscrizione pubblica dei milanesi per destinarla alla Galleria comunale d’arte moderna) ha inaugurato il 14 novembre, fino al 9 marzo, la mostra “Giuseppe Pellizza da Volpedo e Il Quarto Stato. Dieci anni di ricerca appassionata” che ripercorre la storia dell’opera cui Pellizza lavorò tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento (dal 1892, quando inizialmente si chiamò ”Ambasciatori della fame”, fino al 1901, quando Pellizza scelse d’intitolarlo Il quarto stato, passando per una versione del 1893-94, una del 1895, che intitolò “Fiumana”, e una del 1898-99, “Il cammino dei lavoratori”). Entrando nell’atrio del Museo si rimane subito colpiti: una grande immagine riproduce le forme immediatamente riconoscibili che Pellizza Da Volpedo aveva creato per la sua opera, ma non è l’originale. Si tratta della radiografia a grandezza naturale del “Quarto Stato”, radiografia da cui si riescono a vedere i vari livelli di realizzazione del quadro (i restauratori la utilizzano per scoprire l’impianto preparatorio delle opere). Un lavoro, quello per realizzare Il quarto stato, che fu un impegno lungo e duraturo per Pellizza: in mostra, oltre alle diverse versioni del quadro, sono visibili i bozzetti preparatori, carboncini e schizzi, nonché studi sulle figure dei protagonisti, interi o anche solo di parti dei corpi disegnati.

Sempre in tema con un’arte interprete della società si trova al Museo del Novecento fino al 9 marzo anche un approfondimento su Giuseppe Scarlini, illustratore attivo su l’Avanti! o il Merlin Cocai (da lui stesso fondato nel 1896 a Mantova): una satira, la sua, che contesta la guerra con un radicale antimilitarismo, nonché il capitalismo e anche il potere ecclesiastico. Scarlini fu sorvegliato dalle autorità di polizia italiane già dalla fine dell’Ottocento, e durante il Fascismo venne perseguitato. Continuò comunque a lavorare in incognito e superò la Seconda Guerra Mondiale (morì a Milano nel 1948). L’ultimo focus proposto dal Museo del Novecento, ancora fino al 9 marzo, riguarda i Rotocalchi italiani e boom del mercato dell’arte moderna in Italia nei primi anni Sessanta: si tratta di una riflessione sul tema del mercato dell’arte tra la fine degli anni Cinquanta del Novecento e i primi anni Sessanta. Iniziava, infatti, a spandersi la figura del collezionista a nuovi strati sociali, e la nascita di periodici di attualità illustrata lo testimonia. In mostra una selezionata ricerca delle prime riviste d’arte in Italia, e i reportage e inchieste sulla situazione del mercato dell’arte italiano, che allora erano agli albori.
 
Info. Museo del Novecento
via Marconi 1, Milano
Orari: lunedì, 14.30-19.30. martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30. giovedì e sabato: 9.30-22.30.
Ingresso: 5 euro, ridotto 3 euro.
Tel. 02.88444061
www.museodelnovecento.org