Che la salvezza del turismo mondiale possa arrivare dalla Cina è un mantra che si sente ripetere da almeno dieci anni. “Adesso che i cinesi si mettono a viaggiare ci saranno milioni di arrivi”, si fregavano le mani dozzine di amministratori italici. E giù tutti a fare avventurose proporzioni che si basavano su un assunto indimostrabile che grossomodo suonava così: “se solo un milionesimo dei cinesi viaggia siamo a posto per anni”. Tutti ingenuamente convinti che dalle parti di Pechino non aspettassero altro che visitare Roccacannuccia. Peccato poi che questi famosi cinesi in giro per l’Italia, e per l’Europa, non si siano ancora visti. Dai 480mila del 2003 siamo passati a oltre 700mila del 2008: una crescita di quasi il 50%, ma non certo quei milioni di persone che tanti (a Roccacannuccia) si aspettavano. Al che nasce un dubbio. Ma dove vanno i cinesi in vacanza?

Risposta semplice. La maggioranza si dedica a scoprire il proprio Paese: due miliardi di arrivi nel 2009, il 15% in più rispetto all'anno precedente. Gli altri vanno in giro nei Paesi vicini. Così, complice la crisi economica che ha frenato gli arrivi dal resto del mondo, in breve in Nepal sono diventati la componente più importante dei flussi turistici. A Bali sono aumentati del 175% nel giro di pochi mesi. E in tutta l’Asia sudorientale hanno rimpiazzato gli occidentali. Ma il Paese che più di altri ha goduto dell’arrivo dei cinesi è, incredibile a dirsi, l’arcinemico: Taiwan.

Se fino a qualche anno fa Pechino considerava Taiwan solo una provincia ribelle da minacciare ogni due per tre a colpi di esercitazioni militari, adesso le cose sono cambiate. Anche se, formalmente, i rapporti rimangono congelati. Nel 2008 il Guomitang - il partito nazionalista cinese formato nel 1912 da Sun Yat Sen - ha vinto le elezioni a Taipei, rimpiazzando il Partito Democratico progressista, strenuo difensore dell’indipendenza di Taiwan. Punto primo del suo programma: un deciso riavvicinamente tra Taiwan e la Repubblica Popolare. Scelta benedetta dal governo di Pechino.

Subito la Cina ha deciso di triplicare il numero di cinesi che possono visitare l’isola, portandoli da mille a tremila al giorno. Mentre il 16 marzo 2009 la prima nave crociera cinese ha gettato l’ancora a Taipei, sbarcando 1200 turisti entusiasti che hanno toccato terra al grido di “Viva Taiwan”.

Così lo scorso anno oltre un milione di cinesi della madrepatria ha visitato Taiwan. E 4 milioni di taiwanesi hanno attraversato lo stretto in senso inverso. Un risultato sensazionale, se si considera che fino al 2008 Taiwan non accettava gruppi turistici cinesi. Non solo. Lo scorso agosto sono stati inaugurati i primi voli diretti tra Pechino e Taipei. Mentre nel mese di maggio era stata aperto il primo ufficio turistico taiwanese a Pechino. Un evento storico, visto che si tratta delle prima rappresentanza ufficiale taiwanese in terra cinese dal 1949.

Questo è solo il primo di una lunga serie di eventi storici. I cinesi sono concreti e sono abituati a saltare le tappe. Così in questi mesi a Shanghai, in occasione dell’Expo, sono stati invitati centinaia di artisti taiwanesi. E per sei mesi le due monete - che per ora non sono scambiabili direttamente - si potranno convertire liberamente. Mentre in Italia stiamo ancora ad aspettare che a Pechino si interessino a Roccacannuccia. Colpa, anche, di una politica di visti piuttosto complessa che vede i cinesi più come possibili immigrati clandestini che come danarosi turisti.