Alle 10 e 40 al padiglione della Repubblica Ceca sono già alla seconda birretta. Mentre di fronte un operaio attacca la D di Sudan sulla parete, i cechi si godono le prime ore di Expo seduti sulle sdraio sponsorizzate Pilsen Urquell (una birra, ovvio) e rimirano l'uccello azzurro che adorna la piscina. Il cielo promette pioggia, ma pochi se ne curano. E poi il cardo e il decumano sono coperti: i teloni dovevano riparare dal solleone di agosto, fanno il loro dovere con la pioggia. Certo, fa freddo, altro che maggio. Le code chilometriche non ci sono state, gli ingressi (tanti) sembrano quelli di un aeroporto che funziona e le prime voci che si sentono sono di meraviglia.
Il padiglione zero? «Maestoso e intelligente, fa riflettere». Quello brasiliano? Una rete da pesca su cui camminare che fa felici i bambini e soddisfa anche i grandi. L'angolano? Lo aprono pomeriggio, stanno ancora avvitando delle cose. E l'ungherese? Fuori è perfetto, come da progetto. Dentro pare che lo finiscano per giugno. Non si sa quando verrà finito quello nepalese, un tempio di legno intarsiato a mano, ma per loro almeno c'è un triste perché. Frammenti dal primo giorno. Dettagli di ordinaria disorganizzazione internazionale.
LA CERIMONIA
Però oggi primo maggio è festa, almeno qui dentro. E allora che la festa abbia inizio. Lo dicono le autorità, con una cerimonia sobria e spiccia. Dal commissario generale di Expo, Sala, al sindaco di Milano, Pisapia, fino al premier Renzi che a braccio ringrazia i lavoratori e le lavoratrici. Se si è arrivati fino a qui è merito anche e soprattutto loro. È festa, le bambine del coro intonano l'inno di Mameli versione remix, il controcanto lo fanno gli alpini. Suona strano, ma piace. C'è dell'entusiasmo nell'aria, si sente, si avverte. In centro a Milano in duecento la pensano diversamente, ma qui sono duecentomila. Le proporzioni sono chiare, i numeri vorranno pur dir qualcosa.
IMPRESSIONI DAI PADIGLIONI
Le Frecce tricolori hanno dipinto il cielo di bianco, rosso e verde. Gli stessi colori del padiglione bielorusso, che sembra un grande mulino tra due ali di aiuole. Quello cinese è una distesa di fiori gialli, quello israeliano ha le pareti coltivate come un campo di grano. Dentro Moran Atias accompagna in un viaggio nei miracoli agricoli del suo Paese. Ma lei è solo virtuale, peccato. È molto reale invece la coda al padiglione giapponese: alle 13.30 era giù di mezz'ora. Nel pomeriggio c'è coda anche al rilassato padiglione svizzero e a quello kazako. Mentre i turkmeni aspettano le autorità nazionali per l'apertura ufficiale e i figuranti in costume scaldano le voci e si fanno fotografare con un sorriso. La signora del panificio non ha le monete del resto e non sa dove buttare la bustina del tè («Sarà umido o no?). È lì dalle sette di stamattina: «Siamo anche noi al primo giorno» dice. E nel farlo sorride. E forse questo è proprio lo spirito giusto con cui prendere l'inaugurazione. Siamo al primo giorno, ci sta.
IL PADIGLIONE ITALIA
E il padiglione Italia? Al mattino era chiuso, dopo pranzo l'hanno aperto. Da fuori colpisce: la superficie di cemento trasparente sembra un rosone del Duomo a due tonalità di bianco. Dentro c'è un omaggio al paesaggio d'Italia e agli italiani. È ancora incompleto, ma se deve raccontare i pregi del nostro Paese è normale che ne incarni anche qualche difetto. Non ha difetti invece il padiglione austriaco, forse il più bello: di certo il più verde di tutti quelli che oggi erano aperti. Una vera foresta è il cuore dell'esposizione, il resto è suppellettile e divertimento. Colpisce. Come colpiscono per l'interpretazione informale e allegra gli olandesi. Avrebbero potuto raccontare che sono il secondo Paese esportatore di cibo al mondo, tra i primi per tecnologia applicata alla produzione alimentare e invece si sono limitati ad allestire un gioioso lunapark con tanto di giostra lenta direttamente dagli anni Settanta e una dozzina di camionicini originali che vendono cibo di strada olandese a prezzi onesti.
MANGIARE. SEMPRE MANGIARE
Già, i prezzi. Se c'è una domanda che tanti fanno è proprio su prezzi. «Ti fanno fare degli assaggi nei padiglioni? Quanto costano i ristoranti?». No, praticamente nessuno fa assaggi, giusto i russi una bibita a base di frumento che non verrà ricordata se non dai cultori delle cose strane. E i ristoranti costano come quelli di un qualsiasi aeroporto globale: non sono regalati e mangi nella confusione. Ma se volevi la cena romantica allora hai sbagliato indirizzo. Così, a naso, tra gli internazionali sembrano interessanti il ristorante cileno, argentino e quelli (ben tre) giapponesi. Mentre gli americani vanno sul sicuro con hamburger di angus e panini di granchio e al ristorante dell'Oman servono della carne alla Luciana che deve essere un omaggio alla cucina fusion, altrimenti non si spiega. Ma il lato ristorazione è quello forse più difficile da esplorare. C'è talmente tanta scelta che se anche uno mangiasse lì due volte al giorno per 184 giorni non riuscirebbe a provare tutto. Anche perché, e questo è il bello, tanti ristoranti dei diversi Paesi cambiano ogni mese. Come quelli di Eataly o di Identità Expo, santuario per i gourmand. Ma se in un ristorante sardo può capitare di passarci, in uno azero meno. Peccato oggi sia chiuso. Come quello russo e quello estone lì accanto.
QUANDO ANDARE?
E allora vedendo la situazione di tanti padiglioni ti viene da pensare che se deve dare un consiglio, forse per le prime due settimane meglio soprassedere, tenersi la curiosità di visitare Expo ancora per qualche giorno. C'è ancora da fare, è indubbio. Soprattutto nei cluster, che sembrano totalmente chiusi. «Qui siamo pronti» dice l'addetta al cluster delle isole. «Alle nove ero pronta ad accogliere le delegazioni, ma non si è presentato nessuno, solo le Maldive» spiega. Niente Madagascar, Comore e comunità dei Paesi caraibici. Non c'è neanche la Corea del Nord, ma forse si staranno chiedendo che cosa c'entrano loro con le isole. Mentre le organizzazioni della società civile ospitate dalla Cascina Triulza sfilano come a ricordare che questo è anche l'Expo dei popoli e delle persone, i sudcoreani rallegrano l'atmosfera con una banda imperiale e degli sceicchi a caso (Emirati? Qatar? Oman?) danzano nei loro caftani bianchi.
UN ALLEGRO CIRCO
È un po' tutto un circo, però bello. Sembra un enorme fiera di paese in cui non compri nulla, anche se la filosofia dei padiglioni dei Paesi nei cluster (dalla Cambogia all'Uzbekistan) sembra più quella di un suk che di un evento a suo modo culturale. Ma forse i visitatori cercano anche, sopratutto questo. Alle 19 i primi intrepidi del turno serale, quello che costa cinque euro invece che 39 si approssimano ai padiglioni. Uno dei tanti addetti dispiega davanti a loro una mappa e segna il padiglione Zero «Vi consiglio di iniziare la visita da qui», dice. «Che si magna?». «No, veramente lì no». «A noi interessa dove si mangia». Se vanno al padiglione della Repubblica Ceca di sicuro si beve.