Si dice che ci siano oltre 900 chiese sparse tra le strade di Roma. Ne abbiamo scelte dieci: capolavori assoluti, eppure meno note e affollate di altre. Un itinerario a sorpresa, per guardare la città con nuovi occhi. 
1. SANTI QUATTRO CORONATI
Gambe in spalla, si parte. Dal Colosseo, via di S. Giovanni in Laterano. La basilica è là in fondo, ma oggi facciamo gli schizzinosi, S. Giovanni è troppo famosa per attirare la nostra attenzione. Lungo la via disdegniamo pure S. Clemente, e farlo è quasi un’eresia, i suoi mosaici attirano come sirene seducenti, ma sarà per un’altra volta, ci aspettano i Ss. Quattro Coronati. Già il nome è strano, quattro santi, chissà chi erano. “Potrebbe trattarsi di marmisti che si rifiutarono di scolpire un monumento a Esculapio” dice la guida “e furono perciò martirizzati da Diocleziano”. Santi marmisti. Inconsueto. Arriviamo: la stranezza continua, perché la chiesa sembra più un castelletto di mattoni, una minifortezza, si deve attraversare un paio di cortili per scoprire dov’è l’entrata. Dentro, niente di speciale. Ma le suore di clausura che da tempo abitano il complesso sanno custodire bene i loro segreti: dalla navata sinistra una monaca apre la porta del chiostro, delizia nascosta, scrigno di pace.

E poi, c’è la cappella di S. Silvestro. Almeno così si legge sulla guida. Ma dove? Cerchiamo, non vediamo. Ci salva un’altra suora. “Ma certo. Dal cortile deve imboccare la porta a destra, suonare il campanello... una mia consorella si affaccerà dietro una grata”. Cose d’altri tempi: le si passa un euro tra le sbarre, e lei preme il pulsante magico che apre la porta delle sette meraviglie. Affreschi duecenteschi che sembrano usciti ieri dal pennello dell’artista. Raccontano le storie di Papa Silvestro, la cosiddetta Donazione di Costantino, quel falso pazzesco per cui la Chiesa giustificò per secoli il potere temporale dei Papi, eredi degli imperatori romani. Eccolo, Costantino con la faccia piena di pustole, povero imperatore, aveva preso la lebbra, ed ecco Papa Silvestro che lo battezza, lui guarisce, si converte al cristianesimo e dona al Papa la città di Roma e l’intero Occidente. Capolavoro. Non basta. “Ma, madre, quell’aula gotica di cui hanno parlato tutti i giornali, l’hanno chiamata la Cappella Sistina del Duecento... si può vedere?”. Gravi sospiri, scuotimenti di testa. “Non me lo dica: le hanno fatto tanta di quella pubblicità che ce lo chiedono tutti. Sono arrivati degli americani con un ritaglio di Cosmopolitan! Ma la Soprintendenza deve ancora approvare l’accesso. Bisogna avere pazienza...”. Sorride. “Alla fine, vedrà, la gioia sarà ancora più grande”. 

2. SANTO STEFANO ROTONDO
Aspettando la gioia, ne cerchiamo un’altra e saliamo al Celio. Pochi minuti di cammino e siamo davanti a S. Stefano Rotondo, incastrata tra ospedali e grandi cedri. Delusione: seconda chiesa e seconda facciata che non esiste. Ma poi, l’interno. Etereo, armonioso, impalpabile, perfetto nella sua simmetria di cerchi concentrici. I raggi solari filtrano dalle finestre, rischiarano il pulviscolo, si riversano sui gigli bianchi e sulle colonne di granito grigio. “Bello, eh? Anni di restauro, ma ne è valsa la pena. Ma ha già notato le pareti?”. Le pareti? Cosa ci sarà mai sulle pareti? Ringraziamo l’anonimo passante e scopriamo quanto di più sconcertante può essere pensato: un ciclo del Pomarancio che descrive gli innumerevoli modi in cui può essere martirizzato un povero cristiano. Amputazioni, calderoni bollenti, macchine di tortura e sangue che scorre a fiotti. Un film splatter, insomma. Ci vuole l’aria fresca di villa Celimontana per riprendere fiato, mentre scendiamo verso le terme di Caracalla. A proposito, adagiata su un prato di fronte alle rovine, c’è Ss. Nereo e Achilleo: se la trovate aperta — più un miracolo che una possibilità — non mancatela, il soggetto pulp dei suoi affreschi è forse ancor più sorprendente.

3. SANTI COSMA E DAMIANO
Dalle terme al Foro romano il tragitto è breve, sotto i pini marittimi di via di S. Gregorio. Passiamo dall’arco di Tito seguendo lo sciame di cappellini, ci vorrebbe una magia per far scomparire la gente. Eccola, la magia: la piccola chiesa sulla destra, persa in mezzo ad archi e colonne. Non se la fila nessuno, Ss. Cosma e Damiano: non c’è anima viva, all’interno, solo i libretti per Daniele e Laura religiosamente distribuiti sui banchi, in attesa degli sposi. Mix tuttifrutti: gli sgargianti mosaici blu dell’abside, l’antico tempio di Romolo innestato nella chiesa (o forse il contrario), il presepe napoletano del Settecento (che ci sta a fare? mah, sovrapposizioni romane). Poi arriva Daniele con fotografi e compagnia, e allora ci spostiamo a fianco: perché, per rimanere in tema, il vicino tempio di Antonino e Faustina ha incorporato S. Lorenzo in Miranda, altro stupefacente esempio di matrioska romana. Una chiesa ritagliata dentro il colonnato. E pensare che nel 1536 l’edificio sacro dell’XI secolo fu abbattuto: passava Carlo V e bisognava rendere visibile il portico. Poi, nel 1602, fu ricostruito. Follie su follie.

4. SAN GIROLAMO
Usciamo dal Foro, a piedi verso piazza Farnese. Dallo zaino spunta Marco Lodoli, che nelle sue Isole - Guida vagabonda di Roma dedica la prima pagina a una certa S. Girolamo della Carità, sconosciuta chiesa in via di Monserrato. La prima pagina: ci dovrà essere un motivo. Eccolo: “...scoprire quella che è l’opera meno nota di Francesco Borromini... la prima cappella a destra...”. La curiosità sale. Abbiamo fortuna: un altro matrimonio! La chiesa, vivaddio, è aperta. Prosegue la descrizione: “...per i defunti della famiglia Spada, Borromini ha immaginato uno straordinario negozietto di stoffe eterne: un campionario infinito di marmi policromi che fanno pensare a un aldilà gestito da un tappezziere allegro, a un oltremondo di sete e tappeti primaverili sui quali rigirarsi e far capriole senza pesi addosso”. Non c’è bisogno di altre parole. Corrisponde tutto, compresa quella balaustra che chiude la cappella, sorretta da due angeli sorridenti, più che un pezzo di marmo sembra un leggero nastro di stoffa. Bellissimo. E pazienza se il pieghevole distribuito all’ingresso dice che “l’attribuzione al Borromini, fatta per secoli da storici dell’arte, è da escludere”. 


 

5. SANTA MARIA DELLA PACE
Lasciamo via di Monserrato, anche se non è facile, dopo aver scoperto la deliziosa piazza della Moretta e l’ex chiesa dedicata a San Filippo Neri, di cui è rimasta una curiosa facciata ritagliata in una casa. Ma ci dobbiamo dirigere altrove, ci aspetta S. Maria della Pace, che appare in fondo ai vicoli a ovest di piazza Navona, bianca sotto il sole, altera tra la folla, i tavolini all’aperto, i passeggini, quasi come un pezzo di un puzzle messo nel posto sbagliato. Mentre ammiriamo la facciata, passano davanti comitive su comitive, dirette alla fontana dei Fiumi: le guide non le dedicano che qualche battuta, citano Bramante e Raffaello quasi fossero due artisti di provincia, e proseguono. Scandalose eresie. Se solo passassero cinque minuti ad ammirare la vaga bellezza delle Sibille di Raffaello sul soffitto, se solo si fermassero a bere un caffè al primo piano del chiostro bramantesco... Qualche foto, due chiacchiere, relax totale. Facciamo tardi, a S. Maria della Pace.


 

6. SANT'IVO ALLA SAPIENZA
Facciamo tardi, ma dobbiamo correre a S. Ivo alla Sapienza, altrimenti ci sbattono in faccia il portone. E rimaniamo di stucco. Quant’è bello il cortile. I turisti in transito per corso del Rinascimento passano davanti al portone distratti, con la coda dell’occhio vedono le arcate e allora tornano indietro, perché Borromini (qui lui di sicuro!) ha fatto miracoli, con la piccola chiesa tutta curve. Un esagono inscritto in un triangolo, su cui si attestano semiesagoni e semicerchi di cappelle e absidi. Ma sono frasi da guide, non rendono nulla. L’interno è una vertigine di pieni e di vuoti, piccolo e grande, finito e infinito. E vorremmo avere un binocolo. La cupola che si eleva al cielo con una fantastica lanterna, una corona di lingue di fuoco, poi una gabbia metallica che sembra uno sbuffo di panna montata, che a sua volta sorregge un globo, che è sormontato da una colomba con tanto di ramoscello d’ulivo, e finalmente la croce gigliata. E via verso il cielo.
7. SANTA MARIA DELLA CONCEZIONE
Arriviamo in piazza Barberini dopo una bella camminata, ecco via Veneto, grandi platani ombrosi, e la chiesetta di S. Maria della Concezione. Bellina, semplice, francescana. Niente di che. Ma il cimitero accanto, quello dei Cappuccini... Ce l’avevano detto, di fare un respiro prima di entrare. Non riusciamo neppure bene a definirlo: macabro? originale? comico? Le tombe sono costruite con le ossa di quattromila – quattromila – frati morti tra Cinquecento e Ottocento. A formare decorazioni e motivi floreali, stelle e lampadari, nicchie e corone sono pendagli di vertebre, baldacchini di bacini, tondi di mandibole, colonne di crani. Ma la cosa più insolitamente bizzarra sono forse i pannelli esplicativi, che descrivono le “opere d’arte” con serietà quasi ridicola. Riguardo a una clessidra alata formata da un cranio con due scapole ai lati, ci avvertono che “il tempo non solo passa, vola!”.

8. SANTA MARIA DELLA VITTORIA
Appunto. Il tempo passa, voliamo anche noi. E facciamo un’eccezione. Perché questa scelta è ancora più arbitraria delle altre: la terza S. Maria, quella detta della Vittoria, non è quel che si può definire una chiesa poco nota, anzi. I turisti arrivano a frotte. Ma l’Estasi di Santa Teresa ci sorprende troppo per non includerla nel nostro tour: l’espressione di Santa Teresa a metà tra dolore e piacere, il sorriso furbo dell’angelo, e la luce che cade sui due, gialla, surreale, arriva da una finestrella nascosta, sembra una lampadina e invece è un altro trucco di quel genio del Bernini. E poi, nessuno guarda mai la gigantesca tela sopra l’altare, la vittoria dei cattolici sui protestanti, quella che dà il nome alla chiesa, appunto. E nessuno dà mai un’occhiata neppure agli altri angoli della piazza: oddio, la fontana del Mosè la fotografano tutti, ma le altre due chiese, dirimpetto a S. Maria, quasi come nel gioco dei quattro cantoni? S. Susanna, il capolavoro del Maderno, nessuno se lo ricorda ma è stato anche lui un grande del barocco; e S. Bernardo alle Terme, una torre delle terme romane di Diocleziano trasformata in chiesa. Un quadrivio che merita da solo un pomeriggio.

9. SANTA MARIA DEGLI ANGELI
Quattro passi e si è in piazza della Repubblica, ovvero piazza dell’Esedra, come amano chiamarla i Romani. Qui facciamo un’altra eccezione, ma fino a un certo punto, perché scommettiamo che non tutti conoscono S. Maria degli Angeli. Eccezione perché non si potrebbe definire una chiesa piccola. Anzi: è una chiesa gigantesca, dove tutto è gigantesco: le statue, i dipinti, i soffitti, dopo S. Maria della Vittoria è come paragonare una farfalla a un elefante. Eppure affascinano, gli Angeli, incastrati anche loro dentro alle terme di Diocleziano. E a noi piacciono parecchio le due porte della basilica, realizzate qualche tempo fa da Igor Mitoraj. L’annunciazione, con l’angelo e Maria che sembrano uscire dalla massa informe del tempo, è l’emblema stesso di una Roma in cui la materia è mobile, il tempo quasi non ha significato. 

10. SANTA PRASSEDE
Ultima tappa. Si arriva a S. Maria Maggiore e si rimane sbalorditi di fronte allo sfoggio di tanta potenza. Due minuti più in là, si giunge a S. Prassede e si rimane stupefatti di fronte allo sfoggio di tanta discrezione: come nei Ss. Quattro Coronati, o in S. Stefano, nessuna facciata, solo una porticina laterale che non le daresti un soldo. E invece. Invece dentro è il miracolo del mosaico. Una turista francese intavola una discussione con il suo compagno di viaggio: sostiene che è tutto finto, scintilla troppo. Su in alto, nell’abside, la fenice appollaiata su una palma sembra sorridere, mentre sovrasta la teoria di santi e di pecore costruiti tessera fianco a tessera. Da quella posizione, vede tutto, vede l’elaborato pavimento cosmatesco, la pietra nera sotto la quale Prassede seppellì migliaia di martiri. Ma la cappella di S. Zenone, no, non riesce a vederla, è nascosta a fianco di una navata. Peccato. Perché è straordinaria, raccolta, discreta, scintillante d’oro. Degna conclusione della nostra passeggiata romana.    


 

DA SAPERE
L’itinerario proposto non 
è realizzabile in una sola giornata, sia per l’ampia area considerata, sia e soprattutto per gli orari di apertura osservati dalle chiese, spesso limitati e suscettibili di variazioni impreviste. Consigliamo quindi di verificarne l’attualità prima di mettersi in cammino. 
Ss. Quattro Coronati, via dei Ss. Quattro Coronati 20. Basilica, chiostro e cappella di S. Silvestro: 10-11.45 e 16-17.45; domenica mattina chiuso. 
S. Stefano Rotondo, via di S. Stefano 7, orario invernale 10-13 e 14.30-17.30, orario estivo 10-13 e 15.30-18.30.
Ss. Cosma e Damiano, via dei Fori imperiali, orario 10-13 e 15-18. 
S. Girolamo della Carità, via di Monserrato 62, orario 10.30-12.30 solo domenica (Messa alle 11.30).
S. Maria della Pace, via Arco della Pace 5, orario della chiesa variabile (solitamente lun/mer/sab 9-11.45), orario del chiostro 10-20 lun/ven, 10-21 sab/dom; dal bar visibile la navata con le Sibille.
S. Ivo alla Sapienza, corso Rinascimento 40, orario 9-12 solo domenica (luglio e agosto chiusa sempre).
S. Maria della Concezione, via Vittorio Veneto 27. Cripta dei Cappuccini: orario 9-19.
S. Maria della Vittoria, via XX Settembre 17, orario 8.30-12 e 15.30-18 (al di fuori delle Messe: domenica 9 e 10.30).
S. Bernardo alle Terme, via Torino 94, orario 6.30-12 e 16-19.
S. Susanna, via XX Settembre 14, attualmente chiusa.
S. Maria degli Angeli, piazza della Repubblica, orario 7.30-19, festivi fino alle 19.30.
S. Prassede, via S. Prassede 9a, orario feriale: ore 7-12/16-18.30; festivo: ore 7.30-12.30/16-18.30.

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