I professionisti la fanno in meno di sette ore, a oltre 40 km/h di media. Che gusto c'è? Meglio prendersela comoda e coprire i quasi 300 km che separano Milano da Sanremo, la pianura dalla riviera, l'inverno dalla primavera andando al passo dei pionieri della bicicletta. Quelli che partivano all'alba e arrivavano al tramonto, e anche più in là. Quelli che erano «somieri di loro medesimi» (tiro un sorso dalla borraccia di Gianni Brera). Quelli che portavano occhialoni e palmer incrociati sul petto, come crociati del Santo Pedale. Quelli che celebrano il ciclismo d'antan, d'altri tempi, «di prima del motore», come cantava De Gregori di Girardengo e dell'amico bandito.
Ma molte delle biciclette che venerdì 17, in via Mercanti a Milano, davanti al Palazzo dei Giureconsulti, hanno assolto al rito apotropaico della punzonatura del mezzo, anzi della “macchina”, come scrivevano i cronisti di cent'anni fa, sarebbero ferri vecchi anche per lo stesso Girardengo, che correva scaltro e spedito come una faina in sella a una Maino, a una Stucchi o a una Wolsit. Per non dire di quelle che attenderanno domani all'arrivo gli intrepidi cicloretrò e che fanno parte della vasta collezione di biciclette storiche On the bycicle, di cui nelle sale dell'Hotel de Paris Sanremo viene data una ristretta (16 esemplari su oltre 100 pezzi d'epoca, raccolti negli anni dall'imprenditore Gianni Cozzi) una significativa rassegna.
Vi si può ammirare, per esempio, una Michaudine, dal nome dell'operaio Ernest Michaux che, nel 1855, in un'officina meccanica parigina, trasforma una draisina – l'archetipo della bicicletta, ma che funzionava come un cavallo a due ruote e grazie alla spinta alternata dei piedi per terra – in un velocipede grazie all'invenzione dei pedali applicati al mozzo della ruota anteriore. Messo in commercio a partire dal 1861, il velocipede farà impazzire i nuovi ciclomani, come neanche adesso succede con l'ultimo modello dell'iPhone. La Michaudine della collezione Cozzi è del 1868, ha un telaio in acciaio forgiato, ruote in legno e acciaio – di 90 cm quella anteriore, di 75 quella posteriore – e pesa la bellezza di 25,4 kg.
Ma si può vedere anche un Grand-Bi - così erano chiamati i bicicli con l'enorme ruota anteriore e quella posteriore piccolissima – di produzione Peugeot del 1882, in tubi d'acciaio e gomme piene. Un piccolo gioiello è il bicicletto – il genere femminile si imporrà solo più avanti – a trave e tiranti, di marca Singer, 1886 – quella delle macchine per cucire – fabbricato a Coventry che ha la caratteristica di avere un telaio a croce, sorretto da tiranti al posto del tubo orizzontale e di quello diagonale. E finalmente si arriva a una “macchina da corsa”, una Peugeot del 1891, con ruote di legno ma con tubolari pneumatici Michelin, come pure una meravigliosa Victoria Werke, tedesca del 1903, con telaio fortemente inclinato in avanti e una gigantesca corona a 60 denti. Sorprende l'arditissima piega del manubrio della Labor, modello Lefty D. (1908). E queste solo per menzionare le biciclette che anche Girardengo avrebbe sdegnato, come sorpassate. Bellissima la Bianchi del 1924, modello M; un'elegantissima Umberto Dei da pista del 1958, per finire con uno svafillante tandem 1980 di Pogliaghi, maestro artigiano che sta ai telai come il Barolo sta a Bartolo Mascarello.
Ma tornando alla masnada di intrepidi che questa notte, all'una, per la precisione, prenderà il via dal Castello di Binasco per puntare il manubrio verso la pianura di notte e l'albeggiare rivierasco, attesa sotto lo striscione di Sanremo nel primo pomeriggio di sabato 18 marzo, festa di San Giuseppe falegname e telaista di chiara fama fin dal Nuovo Testamento, c'è da chiedersi il perché? Perché spingere e sbuffare su macchine pesanti e arcigne, indossare lane fruste e zuavi molesti, farsi luce con lampade precarie come pellegrini in incognito. Perché il commercialista si traveste da Petit Breton e il rappresentante farmaceutico da Ottavio Bottecchia; cosa trasfonde nell'animo di uno stimato anestesista-rianimatore il sacro fuoco di Eberardo Pavesi, detto l'Avocatt, e nel mite segretario comunale la follia velocipede di un Diavolo Rosso Giovanni Gerbi?
La risposta sta nelle loro facce: ironiche e scalpitanti, eroiche e assorte, volitive e non-vedo-l'ora-di partire. Una fuga che forse non è solo all'indietro, un salto su una macchina del tempo come se fosse un gioco, un ballo in maschera. C'è per molti la consapevolezza che i limiti sono affascinanti perché danno la misura di noi stessi, della fatica come della fantasia. E la Milano-Sanremo d'epoca, al limite dell'inverno e fuga verso la primavera, è un bell'esercizio di fatica e fantasia.
La mostra On the bycicle, allestita presso l'Hotel de Paris Sanremo, è a cura di Clarissa Orsini e Simone De Nardi.
Le foto della collezione sono di Emanuele Biondi.