Visto dall'alto quel che resta dell'Aral è come il segno di una macchia su un abito. Una macchia che si sta asciugando. Le foto che la Nasa ha diffuso lo scorso agosto parlano chiaro: quello che era il quarto specchio d'acqua dolce più grande del globo è prossimo a diventare un lago di sabbia. Visto dal basso quel che resta dell'Aral è la disperazione di chi è nato pescatore e finirà per morire uomo del deserto. La follia di paesi nati sul bordo di un lago e destinati a morire sull'orlo di un precipizio coperto di sabbia. La bellezza surreale delle barche da pesca arrugginite ancorate in equilibrio sul fondo di niente.
SUICIDIO ASSISTITO
Tutto merito, se merito si può dire, della grande strategia di pianificazione sovietica. Negli anni Trenta per volere di Stalin si decise che nella spartizione della produzione delle materie prime necessarie per edificare la nuova società all'Uzbekistan sarebbe toccato il ruolo di produttore di cotone. E peccato che il cotone per crescere necessiti di una buona dose d'acqua mentre l'Uzbekistan è un paese di deserti. Certo, è attraversato da grandi fiumi immensi e limacciosi come l'Amu Darya che origina dai ghiacciai eterni delle montagne del Pamir. Ma negli anni Quaranta i russi decisero che le sue acque sarebbero servite per irrigare le terre uzbeke e turkmene, arrivando fino al Caspio. Per cui, detto fatto (per modo dire, visto che per realizzarlo ci vollero 20 anni), costruirono un immenso canale di 1.375 chilometri che drena il 25% dell'acqua del Amu Darya e ha impedito, fisicamente, di arrivare all'Aral, e ha contribuito al progessivo prosciugamento del lago. Oggi l'Amu Darya, il cui letto è largo più di un chilometro, svuotato progressivamente della sua corrente si perde nel deserto del Kyzylkum a qualche centinaio di chilometri dall'Aral. Un processo inesorabile, le cui dimensioni si colgono bene guardando questa animazione realizzata dal quotidiano LaStampa.

 
COM'ERA L'ARAL NEL 2000
Già dal 2000 il pescoso Aral era oramai un grande lago diviso in due. L'Aral del nord, in Kazakistan, più piccolo ma con qualche possibilità di sopravvivere. E l'Aral del sud, potenzialmente più grande ma destinato a scomparire. Cosa che è puntualmente successa quest'estate. Niente più acqua. Solo sabbia, uno strato di sale e qualche serpente che colonizza il fondo di quel che era quasi mare.
 
I PROGRESSI DELL'ARAL DEL NORD
Se a sud tutto appare perduto (il governo uzbeko ha iniziato un progetto di trivellazione petrolifera del fondo del lago), nella parte nord occidentale le speranze sembrano ben risposte. Negli anni 2000 i progetti finanziati della Banca Mondiale e dal governo di Astana hanno iniziato a dare i primi frutti. La costruzione della diga Kokaral ha definitivamente tagliato in due il lago, ma ha permesso di non disperdere le preziose acque del Syr Darya, l'affluente nord dell'Aral. I risultati sono stati immediati, il livello di questa parte è passato in pochi mesi da 30 metri e quasi 40, diminuendo drasticamente la salinità delle acque, ravvivando gli stock di pesci e ricreando un microclima che ha riportato le nuvole (e le scarse piogge) su questa parte dell'Asia centrale. Certo, non siamo ancora alla situazione degli anni Sessanta, come testimoniano le immagini. Però il porto kazako di Aralsk, una cittadina di pescatori di 30mila abitanti che era arrivato a trovarsi oltre 100 chilometri distante dalle acque oggi dista soltanto 25 chilometri. Visto dal basso è ancora un'enormità. Ma vista dal satellite è solo un pezzettino che necessità di un piccolo sforzo.