Il momento più soddisfacente di tutto l'Inter Rail era quello in cui sul biglietto si scrivevano, a penna, le tratte che uno stava per percorrere. Il biglietto si apriva a fisarmonica e nei rettangoli vuoti uno riusciva a unire tutta l'Europa con un segno. Una zona, due settimane; due zone un mese, tutte le zone, un'estate intera. Ma l'Inter Rail – che quest'anno festeggia 40 anni – non era solo un biglietto, era una filosofia di viaggio: libero e moderatamente avventuroso. Ed era il primo approccio al peregrinare per centinaia di ragazzi. Sferragliando si faceva conoscenza visiva del continente guardandolo da un finestrino di seconda classe. Intrattenendosi in conversazioni surreali con i compagni di scompartimento, che senza portatile e senza cuffie, pare avessero ancora voglia di parlare con chi gli stava seduto davanti. Nelle lunghe ore d'attesa tra una coincidenza e l'altra al bufffet della stazione si assaggiavano le refezioni rapide che non erano ancora tutte uguali: non era ancora arrivato McDonald's e mangiando un semplice panino sembrava di essere arrivati in un altro mondo. Per organizzare il viaggio ci si affidava all'orario ferriviario europeo pubblicato da Thomas Cook, oppure si provava a farsi bastare quei pochi quadri di insieme che si trovavano nelle prima pagine degli orari italiani.



Quando fu creato, nel 1972, con il biglietto InterRail si poteva viaggiare in 21 Paesi europei, ma bisognava essere minori di 21 anni. Progressivamente l'età fu estesa prima a 23 e poi a 26 anni. Oggi lo possono fare tutti: adulti e ultra sessantenni. La regola voleva che il pass non valesse nel Paese di residenza. E dunque tutti a cercare il modo più economico per arrivare alla prima frontiera utile. Ma a ben vedere non era così difficile come adesso. Il treno era ancora un mezzo di trasporto popolare e per il popolo. I collegamenti erano lenti, ma frequenti. Erano ancora gli anni in cui in treno dall'Italia arrivavi comodamente in mezza Europa. Da Milano, senza cambiare, si arrivava a Ostenda, Vienna, Amburgo, Barcellona. Da Venezia si andava a Istanbul e a Mosca, con tutto quello che ci stava in mezzo. Ma le prime destinazioni per chi partiva dall'Italia erano ancora le stazioni di frontiera: tutti conoscevano gli anfratti di Domodossola e Tarvisio, Ventimiglia e Brennero. Ma anche quelli di Irun e Cerbere, al confine tra Francia e Spagna, che erano collegate all'Italia con treni notturni diretti in cui non era necessario prenotare una cuccetta, ma si poteva dormire alla bell'è meglio nei posti a sedere. Da lì, in un grande domino continentale si poteva partire per arrivare quasi ovunque, tanto capillari erano le reti ferroviarie in quegli anni.



Oggi l'Inter rail è un po' datato. L'avvento dell'alta velocità, ma soprattutto la concorrenza delle compagnie low cost l'hanno messo quasi fuori mercato. Con 175 euro un ragazzo sotto i 25 anni viaggia per 5 giorni in trenta Paesi, con 298 per 15 giorni. Ma a meno di non muoversi sempre con locali e regionali, per quasi ogni treno si deve pagare un supplemento. E allora forse meglio cercare le offerte via Internet e costruirsi il proprio viaggio su misura, tappa per tappa. Oggi si può. Quando non si poteva, c'era il benedetto Inter Rail.