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La notizia ha fatto il giro del mondo: il Regno Unito si è espresso e ha scelto di uscire dall’Unione europea.

I media in questi ultimi giorni sono alle prese con tante analisi degli effetti della Brexit su economia, vita quodiana e anche turismo, uno dei settori che meglio rappresenta la globalizzazione del mondo di oggi. 

LA SITUAZIONE PRESENTE
Provando a ragionare sui dati, al di là del grande valore simbolico che ha questo passaggio senz’altro epocale, l’uscita del Regno Unito a nostro avviso non dovrebbe avere ripercussioni pesanti, perlomeno a breve, sui principali mercati di destinazione dei britannici che, va detto, si collocano al quarto posto tra i generatori di turismo outbound nel mondo con quasi 60 milioni di partenze annuali e una spesa di oltre 63 miliardi di dollari, preceduti soltanto dalla Cina, USA e Germania.

Prima considerazione: a oggi (giugno 2016) i rapporti di forza tra sterlina ed euro, anche dopo i risultati del referendum, non sono così diversi da quelli che avevano caratterizzato il periodo 2010-2014 quando i flussi outgoing UK verso l’Europa erano aumentati di quasi il 3%. Non sembra così probabile, dunque, una fuga dei britannici dalle destinazioni di vacanze consolidate.

Seconda considerazione: anche se ipotizzassimo che le differenze di cambio possano influire sul loro comportamento, per le vacanze estive 2016 optare su mete alternative di breve/medio raggio non è così semplice. Nel Bacino del Mediterraneo una serie di fattori contingenti (ovvero flussi migratori e minacce terroristiche) scoraggiano ormai la scelta di località diverse da quelle europee: non è un caso, infatti, che Paesi come Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Malta e Spagna abbiamo registrato sul breve periodo tutti segni positivi, a dispetto di destinazioni un tempo molto competitive come Egitto, Marocco, Tunisia e Turchia che presentano cali anche molto pesanti.


LA SITUAZIONE FUTURA
Nell’immediato, dunque, la situazione dovrebbe essere all’insegna della continuità: resta, però, un’incognita sul futuro, ovvero su ciò che accadrà dopo che – definiti i “trattati di uscita” – il Regno Unito sarà fuori dalla UE. In questo nuovo scenario chi potrebbe soffrire di più?

Sicuramente i Paesi europei che per quasi l’80% rappresentano le destinazioni outbound preferite dai britannici e, in particolare, la Spagna che con oltre 12 milioni di arrivi raccoglie il 20% dei flussi britannici in Europa, seguita dalla Francia con quasi 9 milioni (15%). L’Italia con circa 3 milioni di partenze dal Regno Unito ha una quota molto ridotta: appena il 5%. Dal punto di vista della spesa, oggi il mercato UK per la Spagna vale oltre 6 miliardi di sterline, 3,5 miliardi per la Francia e 1,7 per l’Italia.

Focalizzando l’attenzione sul nostro Paese, quindi, un ridimensionamento del mercato britannico avrebbe certamente delle conseguenze ma non disastrose: tra i Paesi di riferimento del nostro incoming, infatti, la Germania continua a giocare un ruolo di primo piano (quasi il 30% dei flussi stranieri), seguito da USA e Francia. Al quarto posto troviamo il Regno Unito (circa 6%).

A livello regionale, infine, sono solo due le aree che dipendono prioritariamente dai flussi UK: Valle d’Aosta e Campania per le quali è il primo mercato estero. Per Lombardia, Lazio e Sicilia, invece, gli effetti potrebbero essere molto più modesti visto che il Regno Unito è solo il terzo mercato con quote molto più contenute. Per le restanti regioni, il mercato della sterlina è ancora più marginale.