«Tu ch'entri qua pon mente/parte a parte/e dimmi se tante/meraviglie/sien fatto per inganno/o pur per arte». Così diceva Vicino Orsini ai visitatori del giardino che egli volle così diverso da quelli del suo tempo. Sono parole che valgono anche oggi per chi entra in questo luogo che qualcuno definisce colto e letterario, ma che tutti trovano affascinante o inquietante per i mostri di pietra e gli animali fantastici che lo popolano. Il principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino, ideatore di questo singolare Parco dei Mostri o Bosco Sacro, apparteneva a una nobile famiglia romana. Tra gli Orsini, molti avevano militato nell'esercito pontificio e Vicino stesso aveva partecipato alle guerre che devastarono l'Europa nella prima metà del Cinquecento. Si narra che proprio questi lunghi anni di vita militare lo abbiano portato a una visione disincantata e ironica dell'esistenza, controcorrente rispetto alla cultura rinascimentale della corte pontificia. Da questa nuova sensibilità, unita a interessi verso il mondo dell'alchimia, può essere nata l'idea del bosco di Bomarzo. Vicino Orsini dedicò alla realizzazione del progetto gli ultimi trent'anni della sua vita. Le prime notizie certe risalgono al 1563, quando il letterato Annibal Caro, amico dell'Orsini, parla in una lettera de «le cose stravaganti e soprannaturali» che si trovavano nel «boschetto del signor Vicino». Oggetto di studi e interpretazioni, le figure del parco non smettono di emozionare e suscitare domande; fra le più celebri: la gigantesca testa dalla bocca spalancata che sostiene un globo; l'elefante che porta una torre da combattimento e che probabilmente allude alla perdita del figlio di Vicino, Orazio, morto nella battaglia di Lepanto; la ninfa con le ali da pipistrello. Recentemente si è scoperto che il bosco era collegato a un giardino all'italiana che, da palazzo Orsini di Bomarzo, scendeva fino al torrente. Il contrasto tra i due modi di progettare un giardino non potrebbe essere più forte: da una parte un percorso labirintico, mostri, animali enigmatici e inquietanti. Dall'altra viali regolari e aiuole scandite in modo geometrico, con statue che esaltano una visione della vita serena e armoniosa. Dopo la morte di Vicino Orsini, il bosco dei mostri venne dimenticato e lentamente la vegetazione invase e in parte cancellò i sentieri, ricoprendo le sculture di rampicanti. Le statue, che una volta erano dipinte, persero i loro colori. Oggi il bosco, dopo secoli di abbandono, è stato riscoperto dai coniugi Bettini, proprietari dal 1954, e, dopo un attento restauro, aperto al pubblico. Il giardino confina da un lato con un torrente che scorre tra rupi di tufo e gruppi di querce, vicino a una necropoli etrusca. I sentieri si snodano nel bosco, tra le statue scolpite direttamente nei massi di peperino disseminati lungo la collina, e alla celebre casetta pendente. Ci si inerpica quindi fino alla cima di una collina dove, in mezzo a verdi prati, si trova un tempietto che Vicino dedicò alla memoria dell'amatissima moglie Giulia Farnese.