La cattedrale monzese, dedicata a S. Giovanni Battista, fu costruita fra il 1300 e il 1346 a pochi passi dal fiume Lambro, sui resti di una basilica del VI secolo voluta dalla regina longobarda Teodolinda. La chiesa, probabilmente opera dell’architetto e scultore ticinese Matteo da Campione, è stata molto restaurata nell’800 da Luca Beltrami, ma non ha per questo perduto il suo fascino originario. Accanto al campanile – più tardo: fu costruito fra 1592 e 1620 – spicca la notevole facciata, in marmo della val d’Ossola bianco e verde, divisa in cinque scomparti. Ai lati si aprono bifore, trifore e oculi. Al centro sta un grande rosone, capolavoro della scultura campionese: la sua larga cornice di formelle ha motivi a fiori, stelle e mascheroni, che sono ripresi nel sovrastante traforo a cassettoni. Sotto il rosone, il protiro e il piedistallo della lunetta del portale poggiano su colonne altomedievali di reimpiego. I due ordini del bassorilievo nella lunetta, datato 1319, raffigurano il Battesimo di Cristo, e S. Giovanni Battista che riceve da Teodolinda il tesoro e la Corona Ferrea. Fu proprio la regina longobarda, sul finire del sesto secolo, a volere qui una basilica. L’edificio fu poi lungamente ricostruito fra 1300 e 1346, quando si riconsacrò l’altare maggiore. All’interno, un pesante rimaneggiamento seicentesco ha sostituito gran parte dei cicli pittorici originari con un’antologia della pittura lombarda barocca e rococò. Due opere in particolare, comunque, sono assolutamente da non perdere. Nella sesta campata della navata centrale si trova l’evangelicatorio di Matteo da Campione, che nel ’700 fu smembrato, e riutilizzato come tribuna d’organo. Comprende quattordici nicchie con santi e apostoli, un pulpito con leggio sorretto da un’aquila, e bassorilievi con gli Evangelisti, Cristo giudice con l’Albero della vita, e la Madonna con S. Giovanni. L’altare maggiore, realizzato da Andrea Appiani fra 1793 e 1798 in marmo e bronzo dorato, con inserti di ametista e lapislazzuli, contiene un paliotto del 1357, in lamina d’argento, dorata e sbalzata con smalti, capolavoro dell’oreficeria gotica lombarda.