Vero e proprio tempio neoclassico voluto dalla borghesia commerciale della città alla fine del Settecento e massimo edificio di piazza della Borsa vecchia, ha una genesi tormentata. La deputazione di Borsa voleva un edificio solenne, che contrapponesse il potere dell’imprenditoria a quello dello Stato: per questo, tra le caratteristiche richieste, vi era quella che dal terrazzo fosse visibile il castello, sede della guarnigione (e viceversa). Fu scelta la proposta dell’architetto maceratese Antonio Mollari. I lavori, iniziati nel 1802, si conclusero nel 1806, ma vennero funestati prima dal crollo della volta dell’atrio, poi da problemi economici che impedirono di arricchire i fianchi del palazzo con statue, come previsto dal progetto.<br>L’edificio è contraddistinto dal pronao a grandi colonne doriche, con un timpano triangolare che inquadra un bell’orologio sorretto da due sculture che rappresentano la Fama, opera di Antonio Bosa: quella di sinistra regge la tromba, simbolo della diffusione delle notizie; quella di destra la cornucopia dell’abbondanza. Statue allegoriche sono nelle nicchie della base e del primo piano e, a coronamento del tetto, statue di Antonio Bosa, Domenico Banti e Bartolomeo Ferrari. Putti mercuriali in bassorilievo, sempre di Bosa, percorrono l’intera facciata.<br>All’interno, al pianterreno una loggia con colonne doriche binate. Sul pavimento è incisa diagonalmente una grande meridiana che riceve la luce da un foro nel muro perimetrale e che un tempo segnava per dieci minuti il mezzogiorno locale, ora di chiusura delle contrattazioni di Borsa; oggi risulta meno precisa a causa dell’assestamento dei muri perimetrali in seguito a un lieve cedimento del terreno. Al primo piano è possibile ammirare la scenografica Sala grande, dominata nel soffitto da un affresco raffigurante Carlo VI proclama il Porto franco, opera di Giuseppe Bernardino Bison.