Dalla piazza si vede la parte absidale (su cui si apre un ingresso), mentre la facciata prospetta, come in altre chiese di fondazione angioina, su un cortile (accesso da vico S. Domenico) e mostra la complessa stratificazione che caratterizza il luogo di culto. Costruita per volere dei primi regnanti angioini, fu infatti edificata tra il 1283 e il 1324 inglobando la precedente chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa e ospitando, nell'annesso convento, i corsi di teologia dell'Università napoletana dettati da S. Tommaso d'Aquino e frequentati da Giordano Bruno. L'interno, che ha quasi il respiro di una Cattedrale trecentesca (tre navate con cappelle laterali), presenta le forme dategli dal "restauro" del 1850-53, che sostituì con decorazioni neogotiche quelle cinquecentesche e barocche (a eccezione del pavimento, del soffitto della navata mediana e delle balaustre delle cappelle), inglobando tra gli stucchi moderni sculture del '300. Ricchissimo di opere d'arte (imponente la serie di sepolcri dei secoli XIV ), conserva a destra della controfacciata la rinascimentale cappella Carafa di Santaseverina di Romolo Balsimelli, con il singolare sepolcro Saluzzo, dell'800. Nella seconda cappella destra (cappella Brancaccio), affreschi di Pietro Cavallini (1308-1309) con storie di S. Andrea, di S. Pietro, della Maddalena e di S. Giovanni evangelista. Nella quarta, dipinti di Marco Pino (Battesimo di Cristo) e Teodoro d'Errico (Risurrezione). Nella quinta Madonna dell'Umiltà di Roberto d'Oderisio. Segue il cappellone del Crocefisso, in cui sono vari sepolcri Carafa con sculture dal secolo XV al XVIII e, alla parete di fondo, la riproduzione della Crocifissione (metà del '200, in deposito), venerata perché da essa Cristo avrebbe parlato a S. Tommaso; a sinistra dell'altare si apre la cappella Carafa di Ruvo del Balsimelli (1511), opera tra le più raffinate del Rinascimento a Napoli (affreschi di Pedro Fernandez nella cupola). La sagrestia è famosa per l'omogeneità dell'architettura barocca e perché custodisce su un ballatoio decorato da un elegante baldacchino i feretri di 10 sovrani e 35 dignitari aragonesi. Per quanta possa risultare curioso, è sepolto qui anche il primo vescovo cattolico di New York, morto a Napoli nel 1810, appena consacrato e in attesa della partenza per l'America. Il progetto dello spazio sepolcrale fu affidato a Giovanni Battista Nauclerio, il quale diede vita a un ambiente dove la presenza della morte, pur elegantemente mascherata da drappi e sete, serviva a ricordare ai fedeli la transitorietà dell'esistenza. Alleggerisce la severità dell'ambiente una delle opere più riuscite del Solimena, affrescata sul soffitto: Il trionfo della fede sull'eresia ad opera dei Domenicani, del 1709. Sul fondo è la cappella Milano con gli affreschi di Giacomo Del Po del 1711 e, all'altare, Annunciazione di Fabrizio Santafede. Sulla destra una graziosa porta lignea conduce alla sala del Tesoro dove, in una serie di armadi settecenteschi a forme concave e convesse, sono esposti abiti e corredi funerari recuperati dalle arche della sagrestia (XV-XVII secolo) e recentemente sottoposti a un accurato restauro. Nel transetto destro la tomba Pandone (1514) e, in alto, il fronte del sepolcro di Giovanni d'Angiò di Tino di Camaino. Da qui si accede all'antica chiesa di S. Michele a Morfisa, dove sono la tomba del musicista Nicola Zingarelli e il sepolcro Vicentini di Matteo Bottigliero. Nel presbiterio di S. Domenico Maggiore, monumentale altare a intarsi marmorei di Cosimo Fanzago e candelabro pasquale del 1585 (vi sono riutilizzate le statue delle Virtù, della bottega di Tino di Camaino). Nel transetto sinistro, tomba di Rinaldo Del Doce attribuita a Giovan Tommaso Malvito e Giovanni da Nola e, in alto, lastra del sepolcro di Filippo d'Angiò di Tino di Camaino. All'inizio della navata sinistra, l'altare della Madonna della Neve di Giovanni da Nola (1536).