La suggestiva valle di Àntas, anticamente ricca di giacimenti di ferro, oggi conserva diverse memorie archeologiche, delle quali il tempio che ne porta il nome, dedicato in età romana a Sardus Pater Babi (o Babay), costituisce l’espressione più emozionante. Individuato nell’800 in condizioni di rudere e ripristinato con un restauro integrativo protrattosi dal 1967 al 1976, appare oggi come un edificio di stile grecizzante, con basamento a pianta rettangolare tripartita, provvisto di quattro colonne sulla fronte e preceduto da una scalinata. Su una struttura punica del VI secolo a.C (evidenziata dagli scavi novecenteschi) sorse probabilmente in età augustea il tempio romano, poi profondamente ristrutturato sotto Caracalla (211-217). Salendo si arriva al pronao o vestibolo con colonne a basi attiche e capitelli a volute ioniche. Si varca poi la soglia di un portale monumentale e si entra nel vano mediano, che conserva parte del pavimento con un semplice mosaico a tessere bianche e nere ed è decorato da pilastri addossati alle pareti. Nel muro di fondo due porte danno accesso a due piccoli vani che costituiscono il penetrale, il settore più sacro del tempio. Davanti a loro si aprono due bacini quadrati, destinati a contenere acqua lustrale per purificazione.