Il monumento più grande della romanità, nonché il «simbolo dell'eternità di Roma», è noto con il nome che dal Medioevo designa l’Anfiteatro Flavio, costruito per volere di Vespasiano nell’area occupata da un lago artificiale della Domus Aurea, con lo scopo di fornire la città di una sede stabile per gli spettacoli. Dedicato nel 79 e inaugurato nell'80 da Tito con giochi che si dice siano durati 100 giorni, venne completato nella parte sommitale da Domiziano e restaurato da Severo Alessandro, che rifece il colonnato della «summa cavea». Danneggiato da terremoti, adibito nel Medioevo a fortezza e quindi degradato a cava di materiali per cantieri edilizi, con Benedetto XIV, che lo consacrò alla Passione di Gesù (attorno all'arena furono costruite 14 stazioni della Via Crucis), si pose fine alla devastazione della struttura, anche se solo al ministero di Guido Baccelli risalgono i lavori per l'isolamento dell'esterno e lo scavo delle strutture interne sotterranee. Riqualificato e ricostruito, nel totale rispetto del monumento, oggi l'Anfiteatro è stato restituito alla sua funzione di luogo di spettacolo e di scenario straordinario di eventi culturali. Dal 2000, per iniziativa del Comune, del Ministero per i Beni Culturali e di una serie di associazioni, è divenuto l’emblema della lotta contro la pena di morte: una luce particolare lo illumina ogni volta che nel mondo viene sospesa un'esecuzione capitale o un Paese decide di abolire la pena di morte. La facciata esterna, alta 48.5 m e in travertino, presenta una triplice serie di 80 archi, inquadrati da semicolonne su tre ordini (dorico, ionico, corinzio), su cui poggia un attico a paraste corinzie coronato da mensole e scandito da una finestra e da uno spazio piano per il «clipeus»; gli archi del secondo e terzo piano presentano un parapetto continuo con un dado di base sotto le semicolonne, mentre nei fori quadrangolari della cornice terminale alloggiavano i sostegni per il «velarium» che riparava gli spettatori dal sole. L'arena ellittica interna (m 86x54) era separata dalla cavea mediante un alto podio, adorno di nicchie e marmi e protetto da una balaustra dietro la quale sedevano i personaggi di rango. La cavea, in marmo, era ripartita in senso orizzontale in «maeniana» (balconate) e in quello verticale in settori circolari («cunei») scanditi da scalette e accessi («vomitoria»); la parte alta, riservata alle donne, era divisa dalle fasce inferiori mediante un muro, dietro il quale erano gradoni in legno protetti da un colonnato; il tetto di quest'ultimo era destinato alla plebe. Nei sotterranei dell'arena, che presentava due ingressi monumentali alle estremità dell'asse maggiore, correvano gallerie per la custodia delle belve e delle attrezzature sceniche e per gli ascensori. Il massiccio impiego della volta e dell'arco consentì un alto livello di sicurezza, dal momento che i circa 50000 spettatori accedevano e defluivano per mezzo di corridoi anulari a volta attraversati da scale in direzione dei piani e dei «vomitoria».