Peccato il nome sinistro di questa immensa piazza: Jemaa el-Fna, in arabo, vuol dire infatti “assemblea di trapassati”, e richiama alla mente i tempi in cui questo era il luogo di truculente esecuzioni. Oggi niente si ricollega a quei trascorsi, anzi, tutto all'opposto. Qui è l'anima di Marrakech che si mette in mostra, allegra, coloratissima, con infiniti banchetti montati nel tardo pomeriggio e smontati la notte. Per pochi dirham si consuma un semplice ma gustoso pasto, mescolandosi alla gente del posto che ti chiede da dove vieni, se il Marocco ti piace, se hai visto questo o quello, se vuoi andare a vistare un venditore di tappeti o di babbucce che, per una strana coincidenza, si rivelerà essere suo parente. E ancora incantatori di serpenti, donne velate pronte a svelarvi i segreti dell'henné e a farvene uno, magari sulle mani, come usano fare le spose da queste parti. Oppure ci si può fermare ad ascoltare le storie che sanno di mistero ed esotico dei cantastorie. Non è importante capire. Quello che conta è avvertire il senso di un intero popolo per il quale la tradizione orale e il contatto personale sono ancora importanti, anzi fondamentali. Ascoltando bene, si sente l'eco dell'Arabia lontana, carovane e dromedari che attraversano il deserto, lunghi silenzi intorno al fuoco. Dentro la piazza c'è tutto quello che conta.