Nel 1325 Carlo, duca di Calabria, affidò a Francesco de Vito e a Tino di Camaino l'incarico di erigere un grande complesso religioso sfruttando quanto della collina del Vómero non era stato occupato dal Belforte, in un'incomparabile posizione sul centro antico. La fama della Certosa è tuttavia legata alla ristrutturazione di Cosimo Fanzago architetto e scultore, che, nel corso del '600, la trasformò in uno dei massimi capolavori del barocco napoletano fondendo tutte le arti in un'opera di straordinaria unitarietà, pur nella ricchissima varietà di materiali e di tecniche di lavorazione. All'espulsione dei Certosini nel 1866 risale la sistemazione degli ambienti del convento a Museo nazionale di S. Martino, che oggi forma, con la chiesa vera e propria e i chiostri, un insieme di eccezionale valore. Sul piazzale antistante – ove si apre il celebre belvedere su Spaccanapoli – e la chiesetta delle Donne, cui era proibito l'ingresso nell'ambito della Certosa. All'interno, nel cortile è la facciata della chiesa, il cui pronao trecentesco è stato mascherato con una serliana da Fanzago. Anche lo splendido interno, a navata unica con tre cappelle per ogni lato porta la firma di Fanzago. Nella volta opera di Giovanni Lanfranco è l'Ascensione di Gesù; sulla controfacciata Pietà di Massimo Stanzione, ai lati Mosè ed Elia di Jusepe de Ribera, cui si devono anche i profeti sopra le arcate di ogni cappella. Ricchissimo il patrimonio delle cappelle di cui si segnalano quella del Rosario, quasi tutta di mano di Domenico Antonio Vaccaro; i dipinti di Massimo Stanzione nella seconda a destra e le statue di Giuseppe Sammartino nella terza; quest'ultimo ha lavorato anche nella corrispondente a sinistra, impreziosita da tre tele di Francesco De Mura e da affreschi di Battistello Caracciolo; dello Stanzione sono gli affreschi e le tele della seconda, mentre al Caracciolo vanno ascritti quelli della prima, collegata alla cappella di S. Giuseppe, ricca di stucchi. Oltre la preziosa balaustra marmorea, il presbiterio accoglie l'altare maggiore ligneo (1705), dorato e dipinto a imitazione del marmo, disegnato da Francesco Solimena. Nella volta del coro gli affreschi sono del Cavalier d'Arpino (attivo anche nella volta della sagrestia) e alle pareti spiccano le tele della Natività di Guido Reni e della Lavanda dei piedi, del Caracciolo; grandioso il coro ligneo seicentesco. Il livello altissimo della decorazione pittorica culmina nel Trionfo di Giuditta che Luca Giordano settantenne (1704) dipinse nella volta della cappella del Tesoro, e che gareggia con la solenne Deposizione di Ribera sull'altare. Di nuovo nel cortile, si passa nel chiostro dei Procuratori, del Dosio, che un corridoio, dove sono messe in luce strutture del '300, collega al Chiostro grande, reinventato dal Fanzago con le mezze lesene sulle colonne, i portali agli angoli dell'ambulacro ornati dai busti di santi certosini (due sono del Vaccaro), le statue sul loggiato e la balaustra del cimiterino dei monaci. Spazio verde pertinente al complesso erano gli orti, cui si accede dal chiostro dei Procuratori.