La vicenda della sua costruzione è tra le più lunghe e complesse della storia dell’architettura italiana. Fu eretto a partire dal 1488 per volere del cardinale Ascanio Sforza sull’area dove sorgevano, una di fianco all’altra, le basiliche romaniche di S. Stefano e di S. Maria del Popolo. Agli architetti locali Giovanni Antonio Amadeo e Cristoforo Rocchi si affiancò probabilmente il Bramante, la cui mano è in effetti riconoscibile nell’imponenza dell’abside e nelle armoniose proporzioni della cripta, completate già a fine ’400. Dalla pianta centrale del primo progetto si passò presto a quella longitudinale, ma nella seconda metà del ’500 la fabbrica si arrestò soprattutto per le difficoltà tecniche di elevazione del tamburo e della cupola (nonostante, sembra, una consulenza di Leonardo da Vinci). Così la forma del Duomo rimase a lungo ibrida, con parti delle preesistenti chiese romaniche, rimaneggiate e integrate, che continuavano a sussistere a fianco del corpo centrale rinascimentale. Lo slanciato tamburo venne realizzato nella seconda metà del ’700 e solo oltre un secolo dopo, nel 1885-87, grazie all’utilizzo di una doppia calotta di travature in ferro, Carlo Maciachini riuscì a portare a termine la cupola, la terza per ampiezza in Italia dopo quelle di S. Pietro a Roma e del Duomo di Firenze. Si deve a lui anche la facciata (1893), incompiuta nel previsto rivestimento in marmo. All’interno, nella controfacciata, si ammirano quadri del Cerano e di Daniele Crespi; nel transetto di sinistra un affresco cinquecentesco della Sacra famiglia; addossato a un pilone di sostegno della cupola, il pulpito ligneo (1692) è intagliato con storie di S. Siro, primo vescovo e patrono di Pavia; nel presbiterio, sospesa sul coro ligneo (1554) è la macchina scenografica seicentesca che conserva la reliquia delle Sante spine, portate in processione per la città il giorno di Pentecoste.